I percorsi dello standard trio ( The trio Real Book)

You know, when people look at a tree, they look at the leaves; they don’t look at the spaces between the leaves. They’re focused on the tree. I think there’s an awareness of spaces or it wouldn’t look like a tree to them.

Keith Jarrett

Keith Jarrett Standard Trio , o meglio il trio e basta, è nato formalmente nel 1977 con il disco ECM “Tales of Another” a nome di Gary Peacock. Ha effettivamente iniziato la sua attività nel 1983 con le session al NYC Power Station in cui furono registrate le “mitiche” sessioni di Standards Vol1, Vol2 e Changes. Da quel momento in poi, la complicità che si è realizzata tra questi tre musicisti è diventata legame indissolubile che li ha portati ad avere 31 anni di carriera continuativa, anni nei quali hanno visitato come mai nessuno aveva fatto prima il repertorio fondante della musica Jazz nord americana, vale a dire quegli standards che costituiscono per l’appunto la base del Jazz. Un viaggio fatto di registrazioni che hanno portato a dischi ufficiali e di concerti che elaboravano materiale, il tutto con un unico mantra, niente pianificazione, niente leader, si lavora al momento con quello che emerge dalle serate, dai concerti e dall’interazione tra musicisti e pubblico. Questo sito è nato proprio con l’intento di raccogliere tutte le briciole lasciate ovviamente dal trio ma anche dal suo pianista, quel Keith Jarrett che tanto ammiro, per la sua visione pantestica e spirituale della musica. Ho pensato che avendo tutto questo materiale, potessi coniugare alcune delle cose che sviluppo nel mio lavoro con questa grande passione, numeri ed arte sono profondamente legati, yin e yang, dove c’e’ arte c’e’ spesso matematica e la matematica è anch’essa una forma d’arte. Il destino ha voluto che terminassi quest’analisi iniziata anni fa con la ricerca dei dati necessari, proprio nei giorni della scomparsa di Gary Peacock, rendendo questo lavoro un vero omaggio al lavoro epico e monumentale di ricerca e passione portato avanti dal trio.

Aver costruito questo database di sessions del trio, consente di fare diverse analisi per capire meglio i percorsi fatti da questa formazione. Il mio è un vero atto di amore verso questi musicisti che mi hanno regalato un approccio nuovo alla musica e rappresentano un vero monumento della storia della musica, esempio unico di costanza, lungimiranza e collaborazione.

Ho utilizzato la Social Network Analysis per capire i percorsi utilizzati dal trio durante le perfomance live, ovvero se ci fossero dei percorsi preferiti, un flusso logico che accompagnasse le varie performance dal vivo. Faccio una breve premessa metodologica per i non addetti ai lavori, la social network analysis è una tecnica di visualizzazione delle reti di qualsiasi tipo che consente di comprendere le dinamiche della rete, come i partecipanti alla rete interagiscono tra di loro, quali sono le dinamiche, quali sono i punti più influenti di una relazione, quali sono fondamentali per mantenere connessa la rete. E’ una tecnica estremamente potente che può essere applicata a qualsiasi ambito, i personaggi di un libro, le interazioni in un gruppo di persone, l’analisi delle interazioni sui social network, ed ho pensato potesse essere interessante applicarla , specialmente in questo caso in cui la scelta dei brani risponde ad una specie di “stream of consciousness” del trio, alle interazioni dei brani. Ovvero se ci sono percorsi privilegiati nella scelta del trio, se ci sono brani che sono dei capisaldi, dei punti fermi che mantengono ancorati tutti gli altri e se ci sono dei cluster, ovvero dei brani che sono collegati tra loro più strettamente di altri. Questo permette per esempio scegliendo un brano dalla rete di avere una playlist basata sulla relazione dei brani ovvero quella che più probabilmente il trio avrebbe suonato se fosse partito da quel punto. Una playlist non basata sugli interessi dell’ascoltatore ma sulla storia trentennale delle esecuzioni del trio. E’ un mio modo di omaggiare il lavoro di questi musicisti che sono stati fondamentali nell’evoluzione della musica che tanto amo.

Il risultato navigabile lo potete trovare qui, cliccando su ciascun standard della mappa si ottengono i nodi collegati, che possono creare delle vere playlist o dei percorsi che partono da quel brano per disegnare percorsi basati sulla storia delle performance del trio! Se siete interessati alla metodologia utilizzata per creare questa mappa, la descrivo qui sotto.

Partiamo da alcune premesse metodologiche. Avevo un dataset di 484 concerti dal 1983 al 2014, per cui avevo a disposizione circa 250 setlist delle esecuzioni. Il primo lavoro è stato quello di effettuare un po’ di data cleaning (case sensitive, punteggiature, errori grammaticali etc…) al fine di avere con certezza i nomi degli standard in modo univoco. Da adesso in poi quando parlo di nodi, indico uno standard , le relazioni tra standard vengono chiamate edges. Ovviamente per ogni nodo possiamo avere n relazioni con altri brani anche ripetute ( edge paralleli) , ovvero in serate diverse il trio ha eseguito nella stessa scaletta i due brani. Se la relazione era ripetuta ho aumentato il peso della relazione ovvero la relazione tra i due nodi è piu’ forte in quanto ripetuta. Per analizzare i dati tramite Gephi ho dovuto formattare i dati in un formato che fosse facilmente importabile, ho quindi costruito una macro in excel che per ogni setlist presente nel foglio generasse le possibili permutazioni di relazione dei brani, in un formato leggibile da gephi (csv come adjacency list) . Il risultato finale è un csv come questo:

In sintesi ogni riga riporta una relazione multipla, nell’esempio di cui sopra, meaning of the blues è in relazione con all the things you are, it never entered my mind, the masquarade is over e god bless the child ( la setlist del disco da cui tutto è iniziato ovvero Standards Vol. 1) . Ovvero se i nodi sono sulla stessa riga si suppone che abbiano relazioni fra loro, a seguire ci sono tutte le permutazioni possibili di relazioni. Ovviamente le relazioni sono considerate “undirected” ovvero se meaning of the blues è in relazione con all the things you are è vero anche il viceversa.

Importando questo file in Gephi, si ottengono 241 nodi ( ovvvero in 30 anni sono stati suonati 241 standards almeno per quei concerti di cui disponevo di una setlist) e 4228 edges unici ovvero relazioni tra gli standard, le relazioni ripetute come dicevo prima andavano a potenziare il legame tra gli standard. Tanto per fare un esempio When i fall in Love e Straight no chaser sono legate fra loro con un weight di 31 ovvero sono state suonate nello stesso concerto per 31 volte insieme, un legame decisamente importante!

Una volta importato il file in Gephi, il gioco diventa interessante, Gephi è un software open source che consente di analizzare appunto dati riferibili a reti calcolando le metriche principali. Non voglio fare una dissertazione teorica sulle metriche, se siete interessati potete consultare questo dizionario delle metriche. Ad ogni modo appena importato il file ho calcolato tutte queste metriche in particolare il degree, l’eigenvector centrality e la modularity. Il nostro dataset è diventato particolarmente interessante e corposo, praticamente per ogni nodo abbiamo una serie di coefficienti che lo caratterizzano come importanza, frequenza e legami con tutti gli altri standard. Questo rende possibile creare delle visualizzazioni di questi dati e costruire una mappa come quella che ho costruito utilizzando Gephi e l’export in formato Sigma.js.

Per costruire una visualizzazione leggibile dei dati ho utilizzato alcuni algoritmi di visualizzazione, non mi soffermo su questo step, in quanto ci sono diversi tutorial in rete su questi aspetti, ho usato Force Atlas e le metriche di modularity per raggruppare gli standard tra di loro e di seguito alcuni algoritmi di pura visualizzazione che non consentono le sovrapposizioni di nodi e la visualizzazione delle label.

Il primo risultato di questo lavoro lo vedete in questa mappa, qui non ho inserito alcuna legenda agli standard, mi sono solo soffermato sulla visualizzazione, lasciatemi essere romantico in mezzo a tutti questi numeri, questo è il disegno dell’universo dipinto dal dio del trio, che ha costruito stelle, pianeti e orbite e collegamenti tra i pianeti. Ogni pianeta è uno standard e mi auguro che la versione interattiva vi consenta di disegnare rotte che navigano tra questi pianeti musicali.

Trio Universe

Fondamentalmente sono rappresentati 5 cluster di standard, ovvero brani musicali che sono molto piu’ spesso collegati tra loro che esprimono una preferenza del trio ad essere suonati insieme. Naturalmente ci sono sempre delle rotte che collegano questi cluster diversi e ci sono dei brani che hanno delle proprietà intrinseche di collegamento, ovvero che fungono da ponti verso altri gruppi di standard. Sempre nella visualizzazione interattiva potete giocare con i dati e vedere anche con le etichette o cercare un brano e vedere la playlist suggerita

Analizzo brevemente i risultati, poi scriverò degli articoli verticali sui vari brani e sui vari cluster e su altre visualizzazioni possibili. Dicevamo che sono stati identificati 5 cluster principali ( Verde Chiaro, Verde Scuro ,Arancione, Celeste, Viola) . Ogni gruppo rappresenta dei cluster che sono costituiti da brani che più spesso sono stati suonati insieme. In particolare nei due più corposi il viola ed il verde, troviamo molti dei brani di Standards Vol1 , Vol2 , e nel dettaglio quello verde contiene molti dei brani dei due dischi insieme con diversi brani che sono diventati importantissimi negli anni quasi dei cavalli di battaglia del trio come When i Fall in Love, On Green Dolphin Street, I Thought about you, One for Majd, Straight no Chaser. Probabilmente definirei il cluster verde come quello fondante, dove si sono costruite le fondamenta e la poetica del trio.

Nel cluster viola, invece, ci sono già molti degli standards di fine anni 80 e anni 90 confluiti nei dischi Live at Blue Note, The Cure, Tribute, Bye Bye Blackbird, Tokyo 96 e in tutti i concerti intorno a queste registrazioni. Il cluster celeste è riferibile ai concerti degli anni 2000 con le relative registrazioni in particolare My foolish heart e After the fall ed un piccolo cluster marginale riferibile ad Inside Out che effettivamente è un disco abbastanza peculiare come Changes che è nel cluster viola molto distante da tutti gli altri anche perchè i due brani Flying Pt1 e Pt2 sono improvvisati e quindi ben poco collegati con gli altri non essendo mai più stati riproposti. Nel cluster Arancione troviamo invece ancora brani degli anni 2000 con sovrapposizioni di My foolish heart, The out of towners, Yesterdays ed il disco Always Let Me Go. Il cluster verde scuro è abbastanza peculiare ma identifica degli standard che sono stati suonati veramente poco e praticamente solo riferibili al 1994-95 con una fissazione ufficiale sul Live at the blue note.

Concludo questo primo articolo inserendo una visualizzazione degli standard più importanti suonati dal Trio quelli che più hanno collegato tutti i periodi e sono stati quasi un momento di ristoro e rigenerazione delle attività creative. Potremmo definirli un una terminologia marketing, gli influencer più rilevanti, li ho raffigurati quasi come un sistema stellare che gravita intorno all’inno del trio ovvero lo standard When I fall in love.

Standard più influenti

I prossimi step saranno quelli di creare una mappa degli autori di questi standard per valutare le influenze dei compositori americani sul trio (Gershwin, Cole Porter, Alec Wilder) e analizzare più nel dettagli i percorsi più battuti ma anche quelli che definirei “Le strade blu” di Jarrett, i sentieri più nascosti che quest’analisi spero abbia svelato e reso accoglienti.

Standards – Live

Ogni standards jazz ha una sua essenza, un colore tonale attorno cui orbitare, ed un colore emotivo dato dalla sua storia ( i testi, il suo compositore, le sue interpretazioni eccellenti). Nessuno meglio di Keith Jarrett ( a dire il vero del trio di Keith Jarrett) riesce a fondere questi due aspetti per restituire la vera anima dei pezzi interpretati. Prendiamo come esempio il primo pezzo del disco, Stella by starlight, un grande classico del Jazz, difficile da interpretare, spesso snobbato come “banale” dai finti jazzisti , inizia con il colore tonale un AbM7 che Jarrett sviluppa per oltre 3 minuti fino alla presentazione necessaria, naturale del tema. Jarrett si lascia attraversare dall’anima del pezzo, dalla grande melodia di Victor young, con in mente il testo dello standard, senza acrobazie armoniche, con in mente solo la consapevolezza del pezzo, concede solo delle piccole geniali sostituzioni armoniche che non stravolgono il colore tonale del pezzo, arrivando al solo, la mano destra scorre accompagnata dal canto di jarrett, la sinistra si limita a pochi intermezzi giusto su alcuni passaggi, con voicing essenziali, il solo di Stella by starlight e’ possibile cantarlo per intero, e’ una continua variazione melodica sul tema originario che gravita intorno appunto a quel famoso colore tonale. Il pezzo cresce e termina con un’ultimo tocco di genialita’ ancora elaborazioni, questa volta molto sofisticate dell’armonia originale che si concludono riaffermando il colore tonale fondamentalmente positivo del pezzo Bb semplice e cristallino appena accenato sulla tastiera.

E cerco di ricordare quante altre interpretazioni ho sentito del pezzo, e quante sicuramente ne ha ascoltate Jarrett, e quante riescono ad essere cosi’ fedeli alla storia del pezzo (Miles, Ella fitzgerald, Red Garland) ma forse quella che mi ricordo di piu’ e che di nuovo mi sembrava rendere l’anima del pezzo e’ quella del quintetto di Miles (Hancock,Coleman,Williams Carter) My funny Valentine concert) un grande disco anche quello a suo modo alla ricerca della profondita’, delle origini degli standards. Il disco continua con un pezzo sicuramente meno famoso, The Wrong Blues, sempre di Alec Wilder, pezzo ed autore davvero poco esplorati,il titolo mi intriga e’ buffo leggermente sgraziato ed e’ cosi’ che il trio lo interpreta, sento subito il grande piatto di DeJohnette ed il dialogo fitto con il contrabbasso di Peacock, non ho termini di paragone, e l’ascolto piu’ leggero, il solo di jarrett e’ sempre estremamente teso ritmicamente fino ad arrivare al finale sfumato in un minuto, smontato un pezzo alla volta fino alle ultime note di pianoforte.

Il viaggio nella rilettura degli standards continua con Falling in Love with love, un altro grande classico di tutti i tempi un tempo up , swing incredibile, il tema e’ fedele all’originale, il solo potrebbe essere una bellissima linea melodica, il testimone passa al basso di Gary Peacock per un solo in cui e’ bellissimo sentire dietro il pensiero musicale dell’entita trio che dialoga con il basso, non lasciandolo solo, cosa che in realta’ accade anche nei solo di Jarrett, a conferma del dialogo si va verso un dialogo pianoforte batteria prima della esposizione finale del tema, un finale buffo quasi tirato via. Il pezzo successivo non ha discussione Too young to go steady, il paragone inevitabile con Ballads di Coltrane, inizio classico Ballad ancora con tre note si capisce il colore tonale caldissimo del pezzo, immagino un rosso, arancione bello giovane..ma come fa… ed ecco che invece parte su quel colore tonale un’invenzione ritmica propulsiva puer essendo dolce, colori latini, raffinati per questa ballad magica. Adoro la batteria di Dejohnette in questo pezzo, delicata e decisa, quei tom, i colori che riesce a regalare al pezzo, mentre Jarrett, continua a creare melodie una piu’ bella dell’altra sull’impianto armonico del pezzo. E’ un genio, si diverte, ed ha proposto una versione completamente nuova del pezzo rimanendo fedele all’idea originale. Il disco continua con The Way you look tonight, un pezzo meno famoso , ancora un tempo medium up, inizio deciso, non ci sono dubbi, un do semplice e chiaro che non ammette repliche, il solo decisamente swing bop si sviluppa sul treno di supporto, Dejohnette e’ in grande forma ed il suo solo e’ assolutamente lirico, anche la batteria esprime il senso del colore tonale ed emozionale del pezzo, il tema conclusivo porta il pubblico ad acclamare un bis, il trio regala una versione essenziale di Old Country, colore tonale struggente, di rimpianto dato dal testo legato alla gioventuì perduta, una costruzione del pezzo graduale fino ad arrivare al tema finale che si smonta rapidamente come se l’energia emozionale del trio fosse finita di colpo. Grande disco, premessa fondamentale di quello che sara’ il lavoro “storico” di rilettura dei pezzi che hanno fatto la storia del Jazz nei venti anni successivi a questo evento.