Personal Mountains

Disco “dimenticato” negli archivi della ECM e rilasciato solo molto tempo dopo la sua registrazione nel 1979 a Tokyo Live. Grande testimonianza dell’arte del quartetto europeo di Keith Jarrett. Performance ottima di tutto il quartetto ormai alla fine dell’esperienza musicale. Il disco e’ un viaggio nei meandri dell’esplorazione di tutte le fasi attraversate da questo quartetto unico nella storia della musica jazz contemporanea. Ascoltandolo si sentono reminescenze di Mysong, di Death and the Flower, la freddezza del sax nordico di Garbarek, quella batteria cosi’ “europea” di Jon Christensen, il basso monolitico di Palle Danielson.

Il pezzo iniziale e’ appunto la title track “Personal Mountains”, un pezzo molto ritmico, spigoloso, forse espressione davvero delle vette di eccellenza raggiunte dalle individualita’ di questo quartetto, impossibile non rimanere colpiti dalla forza propulsiva della batteria, dalla varieta’ dei colori con cui Christensen accompagna il pezzo, i pattern spigolosi del piano di Jarrett, accompagnati dal lirismo del sax di Garbarek. Il pezzo finisce con un’atmosfera contemplativa che introduce un vero capolavoro compositivo di Jarrett Prism (piu’ tardi interpretato in trio nell’album Change). Prism, ovvero come visualizzare uno spettro armonico attraverso il prisma fornito dalle armonie sapienti di Jarrett, dal tema struggente cantato dal contrabbasso. Ogni volta che ascolto questo pezzo, penso che non possa succedere niente di brutto, riesco ad estranearmi dai miei pensieri, immergermi completamente nella contemplazione dei panorami armonici che il gruppo esplora, si riesce a sentire l’unita’ di intenti, il pianoforte riprende il tema introdotto dal basso, con la maestria armonica di Jarrett, che fa crescere il pezzo fino all’esposizione del tema del malinconico sax di Garbarek.

Davvero tutto il disco forse vale questo pezzo, sapienza armonica, melodica, ritmica, il quartetto europeo nella sua migliore angolazione, il solo di garbarek e’ qualcosa di assolutamente imperdibile, sempre legato all’armonia del pezzo, riesce ad essere lirico, ritmico, ad esplorare il colore tonale del pezzo immaginato da Jarrett, sono davvero in estasi ascoltando questo pezzo, potrei ascoltarlo per diverse volte di seguito, provando sempre la stessa sensazione di sicurezza, di dolcezza, di bellezza assoluta. Il disco prosegue con Oasis un pezzo giocato sui suoni, sull’interplay, si sente una rielaborazione della storia di Jarrett, echi della sua precedente esperienza con il 4teto americano, proiezioni verso il trio futuro. Ancora con Innocence il trio riporta atmosfere del grande disco MY Song, il pezzo e’ assolutamente una perla compositiva, nella grande tradizione del trio, armonie classiche lo introducono, Jarrett nella sua essenza piu’ profonda, un tema di una serenita’ inconsueta, tocca le corde della pace nei miei recettori cerebrali, grande interplay con il basso di Danielsson e con quei meravigliosi piatti di Christensen. IL disco si conclude con un “classico” blues tanto caro a Jarrett “Late Night Willie“, alcuni pattern sonori ancora sono precursori dei pattern che sentiremo nel trio di Jarrett, degna conclusione di un grandissimo disco, espressione suprema della poetica musicale del 4tetto, penultimo atto in ordine cronologico ma vero testamento artistico dell’ispirazione che ha legato questi 4 grandi musicisti. Se potete ascoltatelo, e’ un ascolto che regala un benessere assoluto.

ECM 1382 Date: Aprile 1979

  • Keith Jarrett Piano, Percussion
  • Jan Garbarek Tenor and Soprano Saxophones
  • Palle Danielsson Bass
  • Jon Christensen Drums

Tracks List:

  1. Personal Mountains (16:01)
  2. Prism (11:13)
  3. Oasis (18:03)
  4. Innocence (7:16)
  5. Late Night Willie (8:46)

Standards – Live

Ogni standards jazz ha una sua essenza, un colore tonale attorno cui orbitare, ed un colore emotivo dato dalla sua storia ( i testi, il suo compositore, le sue interpretazioni eccellenti). Nessuno meglio di Keith Jarrett ( a dire il vero del trio di Keith Jarrett) riesce a fondere questi due aspetti per restituire la vera anima dei pezzi interpretati. Prendiamo come esempio il primo pezzo del disco, Stella by starlight, un grande classico del Jazz, difficile da interpretare, spesso snobbato come “banale” dai finti jazzisti , inizia con il colore tonale un AbM7 che Jarrett sviluppa per oltre 3 minuti fino alla presentazione necessaria, naturale del tema. Jarrett si lascia attraversare dall’anima del pezzo, dalla grande melodia di Victor young, con in mente il testo dello standard, senza acrobazie armoniche, con in mente solo la consapevolezza del pezzo, concede solo delle piccole geniali sostituzioni armoniche che non stravolgono il colore tonale del pezzo, arrivando al solo, la mano destra scorre accompagnata dal canto di jarrett, la sinistra si limita a pochi intermezzi giusto su alcuni passaggi, con voicing essenziali, il solo di Stella by starlight e’ possibile cantarlo per intero, e’ una continua variazione melodica sul tema originario che gravita intorno appunto a quel famoso colore tonale. Il pezzo cresce e termina con un’ultimo tocco di genialita’ ancora elaborazioni, questa volta molto sofisticate dell’armonia originale che si concludono riaffermando il colore tonale fondamentalmente positivo del pezzo Bb semplice e cristallino appena accenato sulla tastiera.

E cerco di ricordare quante altre interpretazioni ho sentito del pezzo, e quante sicuramente ne ha ascoltate Jarrett, e quante riescono ad essere cosi’ fedeli alla storia del pezzo (Miles, Ella fitzgerald, Red Garland) ma forse quella che mi ricordo di piu’ e che di nuovo mi sembrava rendere l’anima del pezzo e’ quella del quintetto di Miles (Hancock,Coleman,Williams Carter) My funny Valentine concert) un grande disco anche quello a suo modo alla ricerca della profondita’, delle origini degli standards. Il disco continua con un pezzo sicuramente meno famoso, The Wrong Blues, sempre di Alec Wilder, pezzo ed autore davvero poco esplorati,il titolo mi intriga e’ buffo leggermente sgraziato ed e’ cosi’ che il trio lo interpreta, sento subito il grande piatto di DeJohnette ed il dialogo fitto con il contrabbasso di Peacock, non ho termini di paragone, e l’ascolto piu’ leggero, il solo di jarrett e’ sempre estremamente teso ritmicamente fino ad arrivare al finale sfumato in un minuto, smontato un pezzo alla volta fino alle ultime note di pianoforte.

Il viaggio nella rilettura degli standards continua con Falling in Love with love, un altro grande classico di tutti i tempi un tempo up , swing incredibile, il tema e’ fedele all’originale, il solo potrebbe essere una bellissima linea melodica, il testimone passa al basso di Gary Peacock per un solo in cui e’ bellissimo sentire dietro il pensiero musicale dell’entita trio che dialoga con il basso, non lasciandolo solo, cosa che in realta’ accade anche nei solo di Jarrett, a conferma del dialogo si va verso un dialogo pianoforte batteria prima della esposizione finale del tema, un finale buffo quasi tirato via. Il pezzo successivo non ha discussione Too young to go steady, il paragone inevitabile con Ballads di Coltrane, inizio classico Ballad ancora con tre note si capisce il colore tonale caldissimo del pezzo, immagino un rosso, arancione bello giovane..ma come fa… ed ecco che invece parte su quel colore tonale un’invenzione ritmica propulsiva puer essendo dolce, colori latini, raffinati per questa ballad magica. Adoro la batteria di Dejohnette in questo pezzo, delicata e decisa, quei tom, i colori che riesce a regalare al pezzo, mentre Jarrett, continua a creare melodie una piu’ bella dell’altra sull’impianto armonico del pezzo. E’ un genio, si diverte, ed ha proposto una versione completamente nuova del pezzo rimanendo fedele all’idea originale. Il disco continua con The Way you look tonight, un pezzo meno famoso , ancora un tempo medium up, inizio deciso, non ci sono dubbi, un do semplice e chiaro che non ammette repliche, il solo decisamente swing bop si sviluppa sul treno di supporto, Dejohnette e’ in grande forma ed il suo solo e’ assolutamente lirico, anche la batteria esprime il senso del colore tonale ed emozionale del pezzo, il tema conclusivo porta il pubblico ad acclamare un bis, il trio regala una versione essenziale di Old Country, colore tonale struggente, di rimpianto dato dal testo legato alla gioventuì perduta, una costruzione del pezzo graduale fino ad arrivare al tema finale che si smonta rapidamente come se l’energia emozionale del trio fosse finita di colpo. Grande disco, premessa fondamentale di quello che sara’ il lavoro “storico” di rilettura dei pezzi che hanno fatto la storia del Jazz nei venti anni successivi a questo evento.

Paris Concert

Ho incontrato la musica di Keith Jarrett, quasi per caso, nel 1995. Il primo disco che ho ascoltato e’ stato The Paris Concert, non riesco ad esprimere le sensazioni che ho provato ascoltandolo. Uno dei pezzi si chiama The Wind del grande pianista Russ Freeman (1926 -2002) e fu registrato per la prima volta negli anni 50 da Chet Baker e Freeman stesso. Forse davvero il vento di questo disco ha soffiato e spinto Jarrett a livelli mai ascoltati prima nella formula del concerto in solo completamente improvvisato. Adesso conosco bene l’opera di Jarrett, ho praticamente tutta la sua discografia ufficiale e non, ho ascoltato tanto Jarrett a volte per giorni interi, ma quello che si sente in questo disco e’ incredibile. Atmosfere classiche nel pezzo di apertura October 17, 1988, non ci sono dubbi Jarrett e’ influenzato da Bach in questi 37 minuti di esplorazioni nel cuore della musica, molto probabilmente approfondiva lo studio del clavicembalo ben temperato che avrebbe registrato per la ECM qualche anno dopo. Una fuga improvvisata, impeccabile , toccante che arriva al centro del pezzo introduttivo con un pedale che destruttura la fuga per ricomporla con pazienza nei minuti successivi aumentando sempre di piu’ l’intensita’ ritmica ed il coinvolgimento degli spettatori. Questa sezione centrale e’ difficile, difficile da capire, eppure colpisce, per il dolore che traspare da quelle note, a volte devo interropere l’ascolto perche’ la tensione che Mr Jarrett crea e’ troppo ardua da sopportare. Un inno ecco, questo disco sembra un grande inno alla musica e’ difficile credere che questo disco sia improvvisato e’ tutto talmente bello, naturale, ispirato, corale. Jarrett stesso con le sue classiche “esternazioni” vocali accompagna i pezzi piu’ significativi di questo disco. Il secondo pezzo e’ appunto The Wind, una ballad struggente. Le armonie che Jarrett regala al pezzo sono fedeli alla composizione originale, ma cosi’ ricche e liriche da impazzire per la bellezza, credo che R. Freeman sarebbe stupito da come Jarrett abbia colto l’essenza del pezzo. Il disco termina con un blues che e’ meno intenso dei due pezzi precedenti (ovviamente, non oso immaginare l’energia emotiva che Jarrett ha dovuto usare per la performance), ma sempre estremamente godibile. Ogni volta che ascolto questo disco scopro nuovi dettagli , li collego tra loro, ricordo ascolti passati e rimango sempre stupito dalla bellezza pura di queste note e dall’intelligenza musicale che le guida.

Trascrizione di The Wind from Paris Concert

“Lo scopo non è quello di controllare quello che fai con la testa. Non devi mai pensare << Bene, adesso farò questo o quello>>, nè chiederti come andare avanti. Tu sei cosciente della musica e del pubblico, ma quello che più importa è dimenticare tutto e lasciarsi andare liberamente. Se io smetto di pensare e vado in plcoscenico, con la giusta disposizione d’animo, in quel momento smetto di essere una macchina e divento uno che riceve.” (Keith Jarrett)