I percorsi dello standard trio ( The trio Real Book)

You know, when people look at a tree, they look at the leaves; they don’t look at the spaces between the leaves. They’re focused on the tree. I think there’s an awareness of spaces or it wouldn’t look like a tree to them.

Keith Jarrett

Keith Jarrett Standard Trio , o meglio il trio e basta, è nato formalmente nel 1977 con il disco ECM “Tales of Another” a nome di Gary Peacock. Ha effettivamente iniziato la sua attività nel 1983 con le session al NYC Power Station in cui furono registrate le “mitiche” sessioni di Standards Vol1, Vol2 e Changes. Da quel momento in poi, la complicità che si è realizzata tra questi tre musicisti è diventata legame indissolubile che li ha portati ad avere 31 anni di carriera continuativa, anni nei quali hanno visitato come mai nessuno aveva fatto prima il repertorio fondante della musica Jazz nord americana, vale a dire quegli standards che costituiscono per l’appunto la base del Jazz. Un viaggio fatto di registrazioni che hanno portato a dischi ufficiali e di concerti che elaboravano materiale, il tutto con un unico mantra, niente pianificazione, niente leader, si lavora al momento con quello che emerge dalle serate, dai concerti e dall’interazione tra musicisti e pubblico. Questo sito è nato proprio con l’intento di raccogliere tutte le briciole lasciate ovviamente dal trio ma anche dal suo pianista, quel Keith Jarrett che tanto ammiro, per la sua visione pantestica e spirituale della musica. Ho pensato che avendo tutto questo materiale, potessi coniugare alcune delle cose che sviluppo nel mio lavoro con questa grande passione, numeri ed arte sono profondamente legati, yin e yang, dove c’e’ arte c’e’ spesso matematica e la matematica è anch’essa una forma d’arte. Il destino ha voluto che terminassi quest’analisi iniziata anni fa con la ricerca dei dati necessari, proprio nei giorni della scomparsa di Gary Peacock, rendendo questo lavoro un vero omaggio al lavoro epico e monumentale di ricerca e passione portato avanti dal trio.

Aver costruito questo database di sessions del trio, consente di fare diverse analisi per capire meglio i percorsi fatti da questa formazione. Il mio è un vero atto di amore verso questi musicisti che mi hanno regalato un approccio nuovo alla musica e rappresentano un vero monumento della storia della musica, esempio unico di costanza, lungimiranza e collaborazione.

Ho utilizzato la Social Network Analysis per capire i percorsi utilizzati dal trio durante le perfomance live, ovvero se ci fossero dei percorsi preferiti, un flusso logico che accompagnasse le varie performance dal vivo. Faccio una breve premessa metodologica per i non addetti ai lavori, la social network analysis è una tecnica di visualizzazione delle reti di qualsiasi tipo che consente di comprendere le dinamiche della rete, come i partecipanti alla rete interagiscono tra di loro, quali sono le dinamiche, quali sono i punti più influenti di una relazione, quali sono fondamentali per mantenere connessa la rete. E’ una tecnica estremamente potente che può essere applicata a qualsiasi ambito, i personaggi di un libro, le interazioni in un gruppo di persone, l’analisi delle interazioni sui social network, ed ho pensato potesse essere interessante applicarla , specialmente in questo caso in cui la scelta dei brani risponde ad una specie di “stream of consciousness” del trio, alle interazioni dei brani. Ovvero se ci sono percorsi privilegiati nella scelta del trio, se ci sono brani che sono dei capisaldi, dei punti fermi che mantengono ancorati tutti gli altri e se ci sono dei cluster, ovvero dei brani che sono collegati tra loro più strettamente di altri. Questo permette per esempio scegliendo un brano dalla rete di avere una playlist basata sulla relazione dei brani ovvero quella che più probabilmente il trio avrebbe suonato se fosse partito da quel punto. Una playlist non basata sugli interessi dell’ascoltatore ma sulla storia trentennale delle esecuzioni del trio. E’ un mio modo di omaggiare il lavoro di questi musicisti che sono stati fondamentali nell’evoluzione della musica che tanto amo.

Il risultato navigabile lo potete trovare qui, cliccando su ciascun standard della mappa si ottengono i nodi collegati, che possono creare delle vere playlist o dei percorsi che partono da quel brano per disegnare percorsi basati sulla storia delle performance del trio! Se siete interessati alla metodologia utilizzata per creare questa mappa, la descrivo qui sotto.

Partiamo da alcune premesse metodologiche. Avevo un dataset di 484 concerti dal 1983 al 2014, per cui avevo a disposizione circa 250 setlist delle esecuzioni. Il primo lavoro è stato quello di effettuare un po’ di data cleaning (case sensitive, punteggiature, errori grammaticali etc…) al fine di avere con certezza i nomi degli standard in modo univoco. Da adesso in poi quando parlo di nodi, indico uno standard , le relazioni tra standard vengono chiamate edges. Ovviamente per ogni nodo possiamo avere n relazioni con altri brani anche ripetute ( edge paralleli) , ovvero in serate diverse il trio ha eseguito nella stessa scaletta i due brani. Se la relazione era ripetuta ho aumentato il peso della relazione ovvero la relazione tra i due nodi è piu’ forte in quanto ripetuta. Per analizzare i dati tramite Gephi ho dovuto formattare i dati in un formato che fosse facilmente importabile, ho quindi costruito una macro in excel che per ogni setlist presente nel foglio generasse le possibili permutazioni di relazione dei brani, in un formato leggibile da gephi (csv come adjacency list) . Il risultato finale è un csv come questo:

In sintesi ogni riga riporta una relazione multipla, nell’esempio di cui sopra, meaning of the blues è in relazione con all the things you are, it never entered my mind, the masquarade is over e god bless the child ( la setlist del disco da cui tutto è iniziato ovvero Standards Vol. 1) . Ovvero se i nodi sono sulla stessa riga si suppone che abbiano relazioni fra loro, a seguire ci sono tutte le permutazioni possibili di relazioni. Ovviamente le relazioni sono considerate “undirected” ovvero se meaning of the blues è in relazione con all the things you are è vero anche il viceversa.

Importando questo file in Gephi, si ottengono 241 nodi ( ovvvero in 30 anni sono stati suonati 241 standards almeno per quei concerti di cui disponevo di una setlist) e 4228 edges unici ovvero relazioni tra gli standard, le relazioni ripetute come dicevo prima andavano a potenziare il legame tra gli standard. Tanto per fare un esempio When i fall in Love e Straight no chaser sono legate fra loro con un weight di 31 ovvero sono state suonate nello stesso concerto per 31 volte insieme, un legame decisamente importante!

Una volta importato il file in Gephi, il gioco diventa interessante, Gephi è un software open source che consente di analizzare appunto dati riferibili a reti calcolando le metriche principali. Non voglio fare una dissertazione teorica sulle metriche, se siete interessati potete consultare questo dizionario delle metriche. Ad ogni modo appena importato il file ho calcolato tutte queste metriche in particolare il degree, l’eigenvector centrality e la modularity. Il nostro dataset è diventato particolarmente interessante e corposo, praticamente per ogni nodo abbiamo una serie di coefficienti che lo caratterizzano come importanza, frequenza e legami con tutti gli altri standard. Questo rende possibile creare delle visualizzazioni di questi dati e costruire una mappa come quella che ho costruito utilizzando Gephi e l’export in formato Sigma.js.

Per costruire una visualizzazione leggibile dei dati ho utilizzato alcuni algoritmi di visualizzazione, non mi soffermo su questo step, in quanto ci sono diversi tutorial in rete su questi aspetti, ho usato Force Atlas e le metriche di modularity per raggruppare gli standard tra di loro e di seguito alcuni algoritmi di pura visualizzazione che non consentono le sovrapposizioni di nodi e la visualizzazione delle label.

Il primo risultato di questo lavoro lo vedete in questa mappa, qui non ho inserito alcuna legenda agli standard, mi sono solo soffermato sulla visualizzazione, lasciatemi essere romantico in mezzo a tutti questi numeri, questo è il disegno dell’universo dipinto dal dio del trio, che ha costruito stelle, pianeti e orbite e collegamenti tra i pianeti. Ogni pianeta è uno standard e mi auguro che la versione interattiva vi consenta di disegnare rotte che navigano tra questi pianeti musicali.

Trio Universe

Fondamentalmente sono rappresentati 5 cluster di standard, ovvero brani musicali che sono molto piu’ spesso collegati tra loro che esprimono una preferenza del trio ad essere suonati insieme. Naturalmente ci sono sempre delle rotte che collegano questi cluster diversi e ci sono dei brani che hanno delle proprietà intrinseche di collegamento, ovvero che fungono da ponti verso altri gruppi di standard. Sempre nella visualizzazione interattiva potete giocare con i dati e vedere anche con le etichette o cercare un brano e vedere la playlist suggerita

Analizzo brevemente i risultati, poi scriverò degli articoli verticali sui vari brani e sui vari cluster e su altre visualizzazioni possibili. Dicevamo che sono stati identificati 5 cluster principali ( Verde Chiaro, Verde Scuro ,Arancione, Celeste, Viola) . Ogni gruppo rappresenta dei cluster che sono costituiti da brani che più spesso sono stati suonati insieme. In particolare nei due più corposi il viola ed il verde, troviamo molti dei brani di Standards Vol1 , Vol2 , e nel dettaglio quello verde contiene molti dei brani dei due dischi insieme con diversi brani che sono diventati importantissimi negli anni quasi dei cavalli di battaglia del trio come When i Fall in Love, On Green Dolphin Street, I Thought about you, One for Majd, Straight no Chaser. Probabilmente definirei il cluster verde come quello fondante, dove si sono costruite le fondamenta e la poetica del trio.

Nel cluster viola, invece, ci sono già molti degli standards di fine anni 80 e anni 90 confluiti nei dischi Live at Blue Note, The Cure, Tribute, Bye Bye Blackbird, Tokyo 96 e in tutti i concerti intorno a queste registrazioni. Il cluster celeste è riferibile ai concerti degli anni 2000 con le relative registrazioni in particolare My foolish heart e After the fall ed un piccolo cluster marginale riferibile ad Inside Out che effettivamente è un disco abbastanza peculiare come Changes che è nel cluster viola molto distante da tutti gli altri anche perchè i due brani Flying Pt1 e Pt2 sono improvvisati e quindi ben poco collegati con gli altri non essendo mai più stati riproposti. Nel cluster Arancione troviamo invece ancora brani degli anni 2000 con sovrapposizioni di My foolish heart, The out of towners, Yesterdays ed il disco Always Let Me Go. Il cluster verde scuro è abbastanza peculiare ma identifica degli standard che sono stati suonati veramente poco e praticamente solo riferibili al 1994-95 con una fissazione ufficiale sul Live at the blue note.

Concludo questo primo articolo inserendo una visualizzazione degli standard più importanti suonati dal Trio quelli che più hanno collegato tutti i periodi e sono stati quasi un momento di ristoro e rigenerazione delle attività creative. Potremmo definirli un una terminologia marketing, gli influencer più rilevanti, li ho raffigurati quasi come un sistema stellare che gravita intorno all’inno del trio ovvero lo standard When I fall in love.

Standard più influenti

I prossimi step saranno quelli di creare una mappa degli autori di questi standard per valutare le influenze dei compositori americani sul trio (Gershwin, Cole Porter, Alec Wilder) e analizzare più nel dettagli i percorsi più battuti ma anche quelli che definirei “Le strade blu” di Jarrett, i sentieri più nascosti che quest’analisi spero abbia svelato e reso accoglienti.

Personal Mountains

Disco “dimenticato” negli archivi della ECM e rilasciato solo molto tempo dopo la sua registrazione nel 1979 a Tokyo Live. Grande testimonianza dell’arte del quartetto europeo di Keith Jarrett. Performance ottima di tutto il quartetto ormai alla fine dell’esperienza musicale. Il disco e’ un viaggio nei meandri dell’esplorazione di tutte le fasi attraversate da questo quartetto unico nella storia della musica jazz contemporanea. Ascoltandolo si sentono reminescenze di Mysong, di Death and the Flower, la freddezza del sax nordico di Garbarek, quella batteria cosi’ “europea” di Jon Christensen, il basso monolitico di Palle Danielson.

Il pezzo iniziale e’ appunto la title track “Personal Mountains”, un pezzo molto ritmico, spigoloso, forse espressione davvero delle vette di eccellenza raggiunte dalle individualita’ di questo quartetto, impossibile non rimanere colpiti dalla forza propulsiva della batteria, dalla varieta’ dei colori con cui Christensen accompagna il pezzo, i pattern spigolosi del piano di Jarrett, accompagnati dal lirismo del sax di Garbarek. Il pezzo finisce con un’atmosfera contemplativa che introduce un vero capolavoro compositivo di Jarrett Prism (piu’ tardi interpretato in trio nell’album Change). Prism, ovvero come visualizzare uno spettro armonico attraverso il prisma fornito dalle armonie sapienti di Jarrett, dal tema struggente cantato dal contrabbasso. Ogni volta che ascolto questo pezzo, penso che non possa succedere niente di brutto, riesco ad estranearmi dai miei pensieri, immergermi completamente nella contemplazione dei panorami armonici che il gruppo esplora, si riesce a sentire l’unita’ di intenti, il pianoforte riprende il tema introdotto dal basso, con la maestria armonica di Jarrett, che fa crescere il pezzo fino all’esposizione del tema del malinconico sax di Garbarek.

Davvero tutto il disco forse vale questo pezzo, sapienza armonica, melodica, ritmica, il quartetto europeo nella sua migliore angolazione, il solo di garbarek e’ qualcosa di assolutamente imperdibile, sempre legato all’armonia del pezzo, riesce ad essere lirico, ritmico, ad esplorare il colore tonale del pezzo immaginato da Jarrett, sono davvero in estasi ascoltando questo pezzo, potrei ascoltarlo per diverse volte di seguito, provando sempre la stessa sensazione di sicurezza, di dolcezza, di bellezza assoluta. Il disco prosegue con Oasis un pezzo giocato sui suoni, sull’interplay, si sente una rielaborazione della storia di Jarrett, echi della sua precedente esperienza con il 4teto americano, proiezioni verso il trio futuro. Ancora con Innocence il trio riporta atmosfere del grande disco MY Song, il pezzo e’ assolutamente una perla compositiva, nella grande tradizione del trio, armonie classiche lo introducono, Jarrett nella sua essenza piu’ profonda, un tema di una serenita’ inconsueta, tocca le corde della pace nei miei recettori cerebrali, grande interplay con il basso di Danielsson e con quei meravigliosi piatti di Christensen. IL disco si conclude con un “classico” blues tanto caro a Jarrett “Late Night Willie“, alcuni pattern sonori ancora sono precursori dei pattern che sentiremo nel trio di Jarrett, degna conclusione di un grandissimo disco, espressione suprema della poetica musicale del 4tetto, penultimo atto in ordine cronologico ma vero testamento artistico dell’ispirazione che ha legato questi 4 grandi musicisti. Se potete ascoltatelo, e’ un ascolto che regala un benessere assoluto.

ECM 1382 Date: Aprile 1979

  • Keith Jarrett Piano, Percussion
  • Jan Garbarek Tenor and Soprano Saxophones
  • Palle Danielsson Bass
  • Jon Christensen Drums

Tracks List:

  1. Personal Mountains (16:01)
  2. Prism (11:13)
  3. Oasis (18:03)
  4. Innocence (7:16)
  5. Late Night Willie (8:46)

Standards – Live

Ogni standards jazz ha una sua essenza, un colore tonale attorno cui orbitare, ed un colore emotivo dato dalla sua storia ( i testi, il suo compositore, le sue interpretazioni eccellenti). Nessuno meglio di Keith Jarrett ( a dire il vero del trio di Keith Jarrett) riesce a fondere questi due aspetti per restituire la vera anima dei pezzi interpretati. Prendiamo come esempio il primo pezzo del disco, Stella by starlight, un grande classico del Jazz, difficile da interpretare, spesso snobbato come “banale” dai finti jazzisti , inizia con il colore tonale un AbM7 che Jarrett sviluppa per oltre 3 minuti fino alla presentazione necessaria, naturale del tema. Jarrett si lascia attraversare dall’anima del pezzo, dalla grande melodia di Victor young, con in mente il testo dello standard, senza acrobazie armoniche, con in mente solo la consapevolezza del pezzo, concede solo delle piccole geniali sostituzioni armoniche che non stravolgono il colore tonale del pezzo, arrivando al solo, la mano destra scorre accompagnata dal canto di jarrett, la sinistra si limita a pochi intermezzi giusto su alcuni passaggi, con voicing essenziali, il solo di Stella by starlight e’ possibile cantarlo per intero, e’ una continua variazione melodica sul tema originario che gravita intorno appunto a quel famoso colore tonale. Il pezzo cresce e termina con un’ultimo tocco di genialita’ ancora elaborazioni, questa volta molto sofisticate dell’armonia originale che si concludono riaffermando il colore tonale fondamentalmente positivo del pezzo Bb semplice e cristallino appena accenato sulla tastiera.

E cerco di ricordare quante altre interpretazioni ho sentito del pezzo, e quante sicuramente ne ha ascoltate Jarrett, e quante riescono ad essere cosi’ fedeli alla storia del pezzo (Miles, Ella fitzgerald, Red Garland) ma forse quella che mi ricordo di piu’ e che di nuovo mi sembrava rendere l’anima del pezzo e’ quella del quintetto di Miles (Hancock,Coleman,Williams Carter) My funny Valentine concert) un grande disco anche quello a suo modo alla ricerca della profondita’, delle origini degli standards. Il disco continua con un pezzo sicuramente meno famoso, The Wrong Blues, sempre di Alec Wilder, pezzo ed autore davvero poco esplorati,il titolo mi intriga e’ buffo leggermente sgraziato ed e’ cosi’ che il trio lo interpreta, sento subito il grande piatto di DeJohnette ed il dialogo fitto con il contrabbasso di Peacock, non ho termini di paragone, e l’ascolto piu’ leggero, il solo di jarrett e’ sempre estremamente teso ritmicamente fino ad arrivare al finale sfumato in un minuto, smontato un pezzo alla volta fino alle ultime note di pianoforte.

Il viaggio nella rilettura degli standards continua con Falling in Love with love, un altro grande classico di tutti i tempi un tempo up , swing incredibile, il tema e’ fedele all’originale, il solo potrebbe essere una bellissima linea melodica, il testimone passa al basso di Gary Peacock per un solo in cui e’ bellissimo sentire dietro il pensiero musicale dell’entita trio che dialoga con il basso, non lasciandolo solo, cosa che in realta’ accade anche nei solo di Jarrett, a conferma del dialogo si va verso un dialogo pianoforte batteria prima della esposizione finale del tema, un finale buffo quasi tirato via. Il pezzo successivo non ha discussione Too young to go steady, il paragone inevitabile con Ballads di Coltrane, inizio classico Ballad ancora con tre note si capisce il colore tonale caldissimo del pezzo, immagino un rosso, arancione bello giovane..ma come fa… ed ecco che invece parte su quel colore tonale un’invenzione ritmica propulsiva puer essendo dolce, colori latini, raffinati per questa ballad magica. Adoro la batteria di Dejohnette in questo pezzo, delicata e decisa, quei tom, i colori che riesce a regalare al pezzo, mentre Jarrett, continua a creare melodie una piu’ bella dell’altra sull’impianto armonico del pezzo. E’ un genio, si diverte, ed ha proposto una versione completamente nuova del pezzo rimanendo fedele all’idea originale. Il disco continua con The Way you look tonight, un pezzo meno famoso , ancora un tempo medium up, inizio deciso, non ci sono dubbi, un do semplice e chiaro che non ammette repliche, il solo decisamente swing bop si sviluppa sul treno di supporto, Dejohnette e’ in grande forma ed il suo solo e’ assolutamente lirico, anche la batteria esprime il senso del colore tonale ed emozionale del pezzo, il tema conclusivo porta il pubblico ad acclamare un bis, il trio regala una versione essenziale di Old Country, colore tonale struggente, di rimpianto dato dal testo legato alla gioventuì perduta, una costruzione del pezzo graduale fino ad arrivare al tema finale che si smonta rapidamente come se l’energia emozionale del trio fosse finita di colpo. Grande disco, premessa fondamentale di quello che sara’ il lavoro “storico” di rilettura dei pezzi che hanno fatto la storia del Jazz nei venti anni successivi a questo evento.

Paris Concert

Ho incontrato la musica di Keith Jarrett, quasi per caso, nel 1995. Il primo disco che ho ascoltato e’ stato The Paris Concert, non riesco ad esprimere le sensazioni che ho provato ascoltandolo. Uno dei pezzi si chiama The Wind del grande pianista Russ Freeman (1926 -2002) e fu registrato per la prima volta negli anni 50 da Chet Baker e Freeman stesso. Forse davvero il vento di questo disco ha soffiato e spinto Jarrett a livelli mai ascoltati prima nella formula del concerto in solo completamente improvvisato. Adesso conosco bene l’opera di Jarrett, ho praticamente tutta la sua discografia ufficiale e non, ho ascoltato tanto Jarrett a volte per giorni interi, ma quello che si sente in questo disco e’ incredibile. Atmosfere classiche nel pezzo di apertura October 17, 1988, non ci sono dubbi Jarrett e’ influenzato da Bach in questi 37 minuti di esplorazioni nel cuore della musica, molto probabilmente approfondiva lo studio del clavicembalo ben temperato che avrebbe registrato per la ECM qualche anno dopo. Una fuga improvvisata, impeccabile , toccante che arriva al centro del pezzo introduttivo con un pedale che destruttura la fuga per ricomporla con pazienza nei minuti successivi aumentando sempre di piu’ l’intensita’ ritmica ed il coinvolgimento degli spettatori. Questa sezione centrale e’ difficile, difficile da capire, eppure colpisce, per il dolore che traspare da quelle note, a volte devo interropere l’ascolto perche’ la tensione che Mr Jarrett crea e’ troppo ardua da sopportare. Un inno ecco, questo disco sembra un grande inno alla musica e’ difficile credere che questo disco sia improvvisato e’ tutto talmente bello, naturale, ispirato, corale. Jarrett stesso con le sue classiche “esternazioni” vocali accompagna i pezzi piu’ significativi di questo disco. Il secondo pezzo e’ appunto The Wind, una ballad struggente. Le armonie che Jarrett regala al pezzo sono fedeli alla composizione originale, ma cosi’ ricche e liriche da impazzire per la bellezza, credo che R. Freeman sarebbe stupito da come Jarrett abbia colto l’essenza del pezzo. Il disco termina con un blues che e’ meno intenso dei due pezzi precedenti (ovviamente, non oso immaginare l’energia emotiva che Jarrett ha dovuto usare per la performance), ma sempre estremamente godibile. Ogni volta che ascolto questo disco scopro nuovi dettagli , li collego tra loro, ricordo ascolti passati e rimango sempre stupito dalla bellezza pura di queste note e dall’intelligenza musicale che le guida.

Trascrizione di The Wind from Paris Concert

“Lo scopo non è quello di controllare quello che fai con la testa. Non devi mai pensare << Bene, adesso farò questo o quello>>, nè chiederti come andare avanti. Tu sei cosciente della musica e del pubblico, ma quello che più importa è dimenticare tutto e lasciarsi andare liberamente. Se io smetto di pensare e vado in plcoscenico, con la giusta disposizione d’animo, in quel momento smetto di essere una macchina e divento uno che riceve.” (Keith Jarrett)

Le solitudini di Jarrett

La forma del piano solo non e’ stata piu’ la stessa dopo il primo concerto in piano solo di Keith Jarrett datato 24 Maggio 1970 Apollo Theatre Parigi. Nessuno aveva mai affrontato in solitudine l’avventura di un concerto completamente improvvisato dal vivo, il coraggio e l’energia creativa necessarie per affrontare il pianoforte ed il pubblico ed il confronto con il proprio io, con una forma musicale quasi classica, primo tempo, secondo tempo, encores.

Da quel momento il viaggio di Jarrett nelle solitudini del pianoforte e’ stato un filo conduttore costante della sua carriera, una cartina di tornasole del suo stato di salute fisico e mentale, nei periodi di stanchezza i concerti in solo si diradavano fino a sparire del tutto, nei periodi di forte creativita’ si seguivano a ritmi vorticosi per culminare sempre nella pubblicazione di un disco che concludeva il periodo precedente per iniziare il viaggio verso quelli successivi.

– Le solitudini giovanili

I primi esperimenti di concerto in solo culminano con le registrazioni dei Solo Concerts 20/03/1973  Salle de Spectacles  Epalinges, Switzerland  e 12/07/1973  Kleiner Sendesaal  Bremen, rilasciati con i Solo Concerts. L’approccio che precede queste date e’ estremamente sperimentale ( lascio da parte il caso di Facing You che e’ un solo piano registrato in studio che e’ quasi il punto di partenza dell’avventura solitaria di Jarrett.), ci sono concerti tenuti in solitudini con l’organo ( 16/09/1972   Stockolm, Sweden ), dove il magma sonoro creato dall’organo di Jarrett e’ possente, fortissimo, scava nell’anima di chi ascolta rendendo alcune volte davvero insopportabile l’ascolto per il troppo carico emotivo che le sonorita’ dell’organo producono nell’ascoltatore (una sensazione simile a quella raccontata da Tarkovsky nel mare di Solaris, un mare musicale che pensa e riesce a materializzare nell’ascoltatore incubi e paure del proprio io).

I concerti di Epalinges e Bremen del 1973 sono il primo approdo, la prima tappa delle solitudini Jarrettiane, e l’avvio della tappa di avvicinamento alla forma del concerto di Colonia. Iniziano a materializzarsi i pattern ritmici tipici dei solo piano di Jarrett degli anni 70, le lunghe e sofferte ricerche di soluzioni durante i concerti, le aperture liriche improvvise che cambiano repentinamente il paesaggio sonoro.

Il viaggio verso Colonia e’ magico, esaltante, il vigore artistico giovanile di Jarrett i suoi 30 anni, si sentono tutti nella musica dei concerti del 1973/1974, una lunga tournee italiana Bergamo,Pescara, Perugia, Macerata, Terni, La Spezia, tutti concerti di spessore, si intravede nella tessitura quello che sara’ Colonia, forse ognuno di questi concerti in potenza poteva diventare Colonia. Mi piace particolarmente il concerto di Macerata, l’inizio e’ lirico, appassionato, ma lo sviluppo del lirismo e’ breve, viene immediatamente sovrastato da una potenza ritmica incredibile, una energia vitale e positiva che sconvolge il lirismo introspettivo della partenza. Il bis e’ affidato a Yaqui Indian Folk Song da Tresure Island un pezzo dolce e pacato che ritorna sulle atmosfere contemplative delle prime note del concerto
che definirei  una tappa intermedia di rilevo di cui per fortuna si e’ conservata una registrazione amatoriale di discreta qualita’ che consente di apprezzare bene le qualita’ di questa performance.

Il 2 Agosto del 1974 Jarrett e’ a Terni per un’appendice di Umbria Jazz, che viene trasmessa dalla RAI (Quindici minuti con Keith Jarrett) , e’ buffo vedere Jarrett immerso nel pubblico anche abbastanza rumoroso, a distanza ravvicinata, suonare un pianoforte Kawai di modesta fattura, come e’ diverso dalle atmosfere che ormai sono riservate ai concerti in piano solo di Jarrett, il misticismo panteistico che li circonda. Questa performance e’ spigolosa, ritmica, incredibilmente tagliente, risentendo probabilmente delle condizioni ambientali non proprio ottimali, anche se in questo piccolo estratto si riescono a vedere alcune spigolosita’ del concerto di Colonia, questa data rappresenta l’ultima prima del concerto di Colonia il 24 Gennaio 1975.

Il concerto di Colonia, molte pagine sono state scritte su questo disco, molte ne verranno scritte ancora, una preparazione non programmata, se preferite uno sviluppo artistico durato 5 anni che ha portato a confluire in questo concerto, molti degli elementi che erano stati preparati nei concerti precedenti che contenevano ognuno a modo proprio alcuni tratti  che si ritroveranno nel concerto di Colonia. Idee liriche in apertura e sviluppo di queste idee liriche, forti pattern e pedali ritmici che sono pause di rigenerazione per far ripartire altre idee liriche che si sviluppano e si sovrappongono a volte con livelli di complessita’ inimmaginabili per una performance completamente improvvisata. Leggere la trascrizione del concerto di Colonia e’ un’ esperienza unica, vedere il Dio di Jarrett, sul pentagramma, simile al Dio di Bach, che disegna mondi e stelle, e per ogni nota c’e’ una spiegazione, ogni nota e’ anche graficamente al suo posto, lascia senza fiato. Il concerto di Colonia segna la rivoluzione del modo di intendere il piano solo, non tanto per il suo valore artistico comunque altissimo, ma per il valore sociale che questo disco andra’ a ricoprire, e’ un disco che esce dagli ambienti prettamente jazzistici, e porta questa forma di musica in ambienti classici, ampliando notevolmente gli orizzonti della forma del piano solo.

Una settimana dopo Colonia, viene trasmesso dalla radio tedesca un concerto siamo al 2 Febbraio 1975 Brema, e’ un concerto di una bellezza eterea, sconvolgente, lirico dall’inizio alla fine, i vamp ritmici sono limitatissimi, le idee di Jarrett sono ispirate e tranquille, e’ come se Jarrett sapesse benissimo quello che Colonia sarebbe stato e questo concerto rappresenta una specie di camera di decompressione, in un certo senso la tensione artistica e’ minore nel concerto di Brema, e nelle note, nelle pieghe in ogni pausa di questo concerto si riescono a sentire gli echi di Colonia, come se quell’esperienza artistica fosse gia’ in fase di congelamento nel DNA musicale  di Jarrett.

In effetti il 1975 ed il 1976 sono ancora pieni di splendidi concerti di assestamento (Roechster, Munich, Antibes,..), che rielaborano l’esperienza di Colonia, in un certo senso la assimilano per svilupparla e portarla pienamente a compimento con la tournee giapponese del 1976 che rappresenta a mio parere la chiusura della prima fase di solitudini: I sun Bear Concerts.
Questo cofanetto rappresenta il riassunto delle solitudini giovanili di Jarrett ed e’ una vera perla del pianismo di Keith Jarrett, sicuramente non una delle sue opere piu’ semplici, ne’ tra quelle maggiormente citate. Ogni concerto possiede una propria identita’ diversa, chiaramente definita sin dalle prime note introduttive di ogni esibizione.

Ascoltare dopo molte volte i concerti e’ come vedere la chiusura di un cerchio che parte dai primi concerti in solo del 1973 per passare attraverso il Koln Concert ed esaurirsi almeno in questa forma con i concerti giapponesi. Ogni concerto sembra in qualche modo ricollegarsi a quello che lo ha preceduto, sostenuto da un unico pensiero musicale, lucidissimo con il sentore chiarissimo di una ricerca costante collocata in un periodo di creativita’ brillante di Jarrett. La partecipazione vocale di Jarrett, cosi’ caratteristica dei suoi momenti piu’ “estatici” accompagna costantemente le note dei dischi. Alternanza costante tra le varie sezioni dei concerti di melodia e riff ritmici a volte spigolosi che si rituffano in melodia. Un lavoro difficile, sicuramente non da affrontare come primo ascolto di Jarrett, ma che rimane un ascolto indispensabile per capire veramente a fondo la poetica musicale di Jarrett.
Questi concerti sono intervallati da altri non pubblicati e purtroppo non disponibili neanche amatorialmente per quello che sono riuscito a sapere.

November 5, 1976 Kyoto , Japan Sun Bear Concerts
November 6, 1976 Fukuoka, Japan
November 8, 1976 Osaka , Japan Sun Bear Concerts
November 10, 1976 Tokyo, Japan
November 12, 1976 Nagoya , Japan Sun Bear Concerts
November 14, 1976 Tokyo , Japan Sun Bear Concerts
November 16, 1976 Kanagawa, Japan
November 18, 1976 Sapporo , Japan Sun Bear Concerts

– Le solitudini di passaggio

Con i concerti giapponesi si conclude una fase, in un certo senso la fase della gioventu’ artistica di Jarrett, l’irruenza, la potenza dei pedali ritmici, anche la rabbia che si riesce a sentire in alcuni passaggi, lasciano il posto ad un altro approccio. Nei concerti di questa fase che farei iniziare dal concerto in Vermont nell’agosto del 1977, rilasciato in video, inizia il percorso dell’eta’ adulta, si sentono gli echi del quartetto europeo che ha segnato profondamente l’approccio al solo piano di Jarrett, iniziano ad affacciarsi nelle esibizioni in solo gli standards che caratterizzeranno fortemente il cammino artistico di Jarrett negli anni ottanta. Uno dei pezzi presenti spesso nelle esibizioni in questo periodo e’ la struggente ballad MySong, che affrontata in piano solo e’ incredibilmente incantevole. Purtroppo gli anni ottanta di Jarrett in solo sono male documentati, esistono pochissimi bootleg delle registrazioni effettuate in questo periodo che hanno invece un importanza fondamentale per arrivare a capire i concerti della fine degli anni ottanta, quelli che definirei neoclassici, con chiare evidenze degli studi classici che Jarrett approfondiva in quegli anni. In quel periodo sono degni di nota i concerti del 1979 a Parigi ed Antibes, sono due concerti di grande spessore artistico che chiaramente superano Colonia in maniera netta e decisa, iniziando a ricercare nuove modalita’ di espressione del solo piano. In un certo senso questi concerti si sublimano nella solita release ufficiale che intermezza il periodo, cioe’ 

28/05/1981  Festspielhaus  Bregenz, Austria 
02/06/1981  Herkilessaal  Munich, Germany 

Rilasciati nel disco Concerts, rappresentano il superamento definitivo e netto di Colonia, dove per superamente intendo gli effetti ‘devastanti’ prodotti dall’esperienza di Colonia sono completamente assorbiti e metabolizzati artisticamente in questi dischi che rappresentano il trampolino di lancio verso le meraviglie di Vienna e Parigi.

In effetti i primi tre anni degli anni 80 sono densi di concerti (sono riuscito a contarne almeno 35 e sono un numero impressionante per Jarrett e per l’intensita’ che Jarrett utilizza nei suoi concerti), pochi di questi sono documentati, in questo periodo iniziano ad affacciarsi nel repertorio standards come Mon Coeur est Rouge, Over The Rainbow che rappresenta uno degli standard piu’ suonati in solo da Jarrett.

Ed ancora Over The Rainbow rappresentera’ quasi una costante nelle performance solo di Jarrett  da questo momento in poi, regalando sempre brividi e pelle d’oca ad ogni ascolto, ogni singola versione va al cuore del pezzo, lo seziona, lo esplora in tutta la sua anima lirica, i punti di lirismo raggiunti dalla musica di Jarrett nelle interpretazioni in solo di Over The Rainbow, sono un miracolo di complessita’ e semplicita’.

Tra le non molte testimonianze audio di questo periodo, voglio ricordare il concerto di Nimes in Francia 8 Luglio 1983, il concerto delle rondini, durante tutta la performance live di Jarrett si sentono in sottofondo le rondini, ed e’ un bel sentire, la musica a volte davvero complessa di un Jarrett in piena ricerca di nuove forme, con queste rondini al tramonto di una bella serata estiva, anche in questo caso immancabile il bis con una versione di Over The Rainbow da togliere il fiato.

Il periodo di passaggio si conclude ancora con una release ufficiale il video the last concert registrato in gennaio 1984 a Tokio, si sente chiaramente che sta per succedere qualcosa, qualcosa e’ cambiato, o sta per cambiare, in effetti sta per iniziare il percorso dello Standard Trio, e si sta preparando una nuova fase del piano solo di jarrett, ancora una volta lanciata immediatamente dopo da un disco ‘anomalo’ il Dark Intervals, che lascia la forma in tempi per riproporre piccoli brani lirici, una specie di inno panteistico, con echi classici.

-Le solitudini della maturita’

Le solitudini della maturita’, Jarrett riparte senza preavviso, con un lavoro interiore, ed immediatamente dopo DarkIntervals ed il Solo Tribute del 1987, senza altri concerti di preparazione arriva a Parigi il 17 Ottobre 1988 con la registrazione del Paris Concert. Un concerto che rappresenta ancora una volta un cambio repentino di direzione. Lo studio dei classici, Bach su tutti, emerge in modo pregnante, la fuga iniziale di questo concerto lascia senza parole, per sfociare in un dolorosissimo pedale centrale, in cui riemerge il magma sonoro dei sentimenti e  la ricerca furiosa di una direzione, e gli echi delle solitudini giovanili. Un discorso a parte lo meritano i bis primo fra tutti The Wind di Russel Freeman, uno standard non suonato spesso da Jarrett (mi risulta solo due volte dal vivo qui a Parigi e l’anno dopo ad Antibes) che lascia davvero senza parole per il lirismo che viene fuori. Si sente inequivocabile anche il lavoro di approfondimento che viene fatto da Jarrett con il trio sugli standards Jazz. Un inno ecco, questo disco sembra un grande inno alla musica e’ difficile credere che questo disco sia improvvisato e’ tutto talmente bello, naturale, ispirato, corale. Jarrett stesso con le sue classiche “esternazioni” vocali accompagna i pezzi piu’ significativi di questo disco.

Ancora una volta la settimana dopo Jarrett si esibisce a Madrid ed il concerto viene trasmesso alla televisione, il concerto di Madrid e’ un altro esempio di concerto che segue un capolavoro, si sentono gli echi di Parigi, ancora fughe , ancora Bach, ma tutto piu’ tranquillo come se il materiale prodotto nel concerto di Parigi dovesse essere metabolizzato con calma, con la consapevolezza del punto raggiunto con la performance precedente.

Dopo il concerto di Madrid, Parigi viene lentamente metabolizzato,  con la presenza costante di Over The Rainbow come bis dei solo piano, tutte versioni diverse, ognuna con una magia tutta particolare. Una tappa importante di questo viaggio della maturita’ e’ il concerto di Antibes del 1989, fatto di brani piccoli, e standards tra cui I love you Porgy, RoundMidnight, come se l’energia creativa fosse assopita per generare nuovo materiale completamente improvvisato. Il tutto porta in maniera quasi inaspettata al concerto di Vienna , un concerto ancora una volta classico,  questa volta gli echi sono diversi non solo Bach, ma Stravinski, Mozart . Jarrett ha definito per molto tempo questo concerto come uno dei suoi lavori migliori :” this music speaks “the language of the flame itself.”

Certamente in nessun disco la tradizione musicale europea e’ cosi’ pesantemente presente, nella logica dello sviluppo del concerto e nelle sonorita’. Il 1992 e’ un anno di transizione per Jarrett, pochi concerti,  alcuni anche molto belli come Monaco 1992, e la comparsa di altri standards come Mona Lisa (poi registrato dal trio) nel repertorio dei bis. Il 1993 ed il 1994 sono anni difficili per jarrett, molto stanco, con un solo concerto il 5 Novembre 1993 a Roma Auditorium Santa Cecilia con una particolarita’ nel bis Jarrett suonaTwo-Part Invention No. 8 In F Major (Johann Sebastian Bach) , un pezzo classico ( una visione delle future registrazioni in solo di Bach).

Quindi dopo due anni di pausa si arriva al Concerto della Scala 1995, un concerto che e’ bellissimo, e non e’ una cosa scontata solo per  la cornice. I biglietti di questo concerto furono esauriti in un giorno, un evento anche per Jarrett stesso che ha confessato di essere emozionato al pensiero di suonare in un teatro come quello della scala, ed ancora una volta l’europa influenza molto il flusso improvvisativo di Jarrett, la struttura di base e’ simile a quella di Vienna e Parigi, impianto neoclassico nelle forme e nelle armonie, il disco e’ pieno di intuizioni geniali, frammenti di melodia che emergono dal magma sonoro per essere accolte dalle mani di Jarrett e sviluppate, un concerto davvero importante nelle solitudini Jarrettiane. Il bis affidato a Over The Rainbow e’ delizioso, ancora una volta, e raccoglie l’eredita’ di tutte le versioni suonate da Jarrett in precedenza. L’effetto del concerto alla scala si fa sentire nella lunga ed intensa tournee italiana del 1996, Modena, Napoli, Torino, Genova, tutti concerti di altissimo spessore, con l’arricchimento del repertorio di Bis con standards come Danny Boy e Mon Coeur Est Rouge.

E poi dopo il 1996 pausa, una piccola ripresa nel 1999 con due concerti in Giappone, frammentati, fatti di molti piccoli pezzi, quasi una prova generale di quello che succedera’ nel 2002, con i tre concerti 149,150 e 151 di Osaka e Tokio.

Radiance, le solitudini del futuro, un disco folgorante, ancora di rielaborazione che chiude una fase importante e ne apre un’altra come sempre un disco di approdo/passaggio e’ costituito di tante piccole composizioni, piccole perle che si sviluppano sul filo dello sviluppo artistico del solo di Jarrett. Il concerto di Osaka ed una parte di quello di Tokio diventeranno Radiance, probabilmente il disco che riassume il percorso fatto da Jarrett in 32 anni di piano solo, presentando un nuovo modo di interpretare questa sfida in solo con il pianoforte. Quello che colpisce di Radiance e’ il legame indissolubile di ogni pezzo con il suo precedente, un unico pensiero musicale che lega i momenti del concerto anche in due serate successive, un flusso di coscienza continuo che lega indissolubilmente i pezzi che non possono essere ascoltati che in questa sequenza logica, cluster sonori magnetici, ostinati, in Radiance e’ presente tutto il materiale dell’esperienza solitaria di Jarrett. Un ascolto difficile, lungo, che si svela solo dopo tanti ascolti, ancora non ho metabolizzato tutto quello che c’e’ in questo disco, si sente a tratti anche il dolore, la difficolta’ nell’elaborare il materiale, nelle risoluzioni che sembrano non arrivare, nelle intuizioni geniali immediatamente colte e sviluppate dalla sapienza musicale di Jarrett.

Un discorso a parte merita il concerto di Tokio non pubblicato che contiene tutti standards, interpretati con una dolcezza indescrivibile, Bewitched, Everytime we say goodbye,  Angel Eyes, With a Song in my heart, tutti brani che parlano di amore, un amore che viene fuori ad ogni tocco del pianoforte da parte di Jarrett (ricorda il solo piano in studio The Melody at Night with you, altro disco atipico della carriera solitaria di Jarrett, suonato all’uscita dalla lunga malattia e dedicato completamente all’amore di Jarrett per la moglie).

-Le solitudini del futuro

La strada per le solitudini del futuro e’ aperta ed un assaggio di quello che puo’ succedere Jarrett lo ha dato con la tournee in solo del 2004, Roma, Vienna e Barcellona, in particolare con il concerto di Vienna che contiene echi della dodecafonia di Schoenberg, la fatica a trovare un filone unitario che frammenta i pezzi che seguono l’introduzione, ed ancora momenti corali di matrice gospel, blues, tutta la sua enorme esperienza dei concerti in solo viene fuori in questa performance di Vienna, che sono certo rappresenta ancora un momento di assorbimento della genialita’ di Radiance, che portera’ verso ancora una volta un altro mondo di solitudini che aspetto con ansia di ascoltare….